Il IL COACHING E IL MOMENTO DI DIRE BASTA
Tratto da una Storia Vera
Questa è la storia di Marco (nome di fantasia), un atleta amatore che fino a luglio si distingueva per brillantezza e costanza. Tuttavia, da agosto ha radicalmente modificato il suo approccio all’allenamento, ignorando la struttura pianificata e prendendo iniziative personali che hanno compromesso il suo equilibrio.
Ha iniziato a trascurare i giorni di riposo, aumentare eccessivamente il volume di lavoro ad alta intensità e trasformare le uscite con altri ciclisti in vere e proprie sfide competitive. Marco è sempre stato un atleta esigente con sé stesso, affrontando con determinazione infortuni e problemi tecnici come un guerriero indomito. Tuttavia, dai dati raccolti, notai una flessione delle sue prestazioni e segnali di sovraccarico.
Durante un confronto telefonico, Marco mi confidò di non riuscire più a dormire bene da giorni.
La stabilità psicofisica di un atleta si regge su quattro pilastri fondamentali:
Salute
Affetti
Lavoro
Sicurezza economica
Se anche solo uno di questi viene meno, il rischio di destabilizzazione è concreto. Nel suo caso, ben DUE di questi pilastri erano crollati, e il ciclismo era diventato una via di fuga dal disagio.
Di fronte a questa situazione, presi una decisione chiara:
SALVARE PRIMA L’UOMO, poi l’atleta, anche a costo di sacrificare la sua partecipazione ai due campionati agonistici in corso d’opera. Ho rimodulato il suo allenamento con carichi leggeri e costanti, intensificando il monitoraggio e mantenendo un contatto regolare per garantire il giusto equilibrio. Nonostante la sua indole impulsiva, Marco è riuscito a difendersi in extremis, conquistando non solo il podio, ma la vittoria in entrambi i campionati.
Un successo straordinario!
Con l’arrivo di novembre, periodo di transizione, abbiamo concordato un potenziamento degli allenamenti di forza in palestra. Marco si sentiva motivato e determinato per la nuova stagione. Tuttavia, nel mese di dicembre, senza aver ancora risolto i suoi problemi personali, è ricaduto nelle stesse dinamiche autodistruttive di luglio-agosto: ha ripreso a eccedere nei volumi, a saltare i giorni di riposo e a inseguire confronti esasperati con gli amici.
Questo ha minato la qualità del nostro rapporto di lavoro insieme alla fiducia.
Le sue prestazioni non erano più all’altezza del periodo migliore, e lui ne era consapevole. Il confronto con avversari più in forma lo rendeva nervoso, e questa frustrazione si riversava nei feedback con il coach, diventati sempre più tesi e aggressivi alle porte della prima gara di campionato. La sua ansia aveva trasformato la relazione di Coaching in qualcosa di tossico, fino al punto di non ritorno.
A quel punto, la scelta era inevitabile:
“Marco, è stato un piacere lavorare con te, ma in questo momento non sei più nella condizione ideale per ricevere un supporto di Coaching. Quando ritroverai la serenità necessaria, potremo valutare una nuova collaborazione. Nel frattempo, ti chiedo l’IBAN e ti restituisco quanto mi hai puntualmente versato. Ti auguro il meglio. Adiós.”
L’importanza del Coaching e il momento di dire basta
Il Coaching non è solo un processo di ottimizzazione della performance, ma un percorso che richiede fiducia, rispetto e stabilità emotiva. Un bravo allenatore sa quando è il momento di sostenere un atleta nei momenti difficili, ma anche quando il rapporto è diventato dannoso e bisogna avere il coraggio di chiudere la porta. Un ambiente tossico non giova a nessuno: né all’atleta, né al coach. Il successo si costruisce su basi solide, e il primo passo per eccellere è saper riconoscere quando serve fermarsi e ristabilire l’equilibrio.