Monitoraggio della Prestazione: Deriva Cardiaca e Marginal Gain
Come tutti sappiamo, gli sport ciclici (running, ciclismo, nuoto, triathlon) sono sport di prestazione pura: oltre il 90% del risultato agonistico dipende dal “motore” dell’atleta.
Oggi abbiamo la possibilità di misurare e monitorare la prestazione in modo estremamente preciso grazie a dispositivi che rilevano in tempo reale frequenza cardiaca, potenza, velocità, cadenza, bracciate, passo.
Questa evoluzione ha rivoluzionato la programmazione dell’allenamento, che un tempo era standardizzata, copiata dai pro o replicata identica per tutti. Oggi invece ogni seduta può (e deve) essere diversa e personalizzata, costruita attorno alla gara-obiettivo, allo stato di forma, ai carichi interni, ai punti di forza e di debolezza dell’atleta.
In pratica, possiamo allenare in modo chirurgico l’anello più debole della catena che limita la prestazione. È l’essenza della teoria del marginal gain: migliorare anche solo dell’1% in aree specifiche porta, nel complesso, a un salto di qualità enorme.
Strumenti di misurazione: oltre la semplice lettura dei dati
I cardiofrequenzimetri, nati a fine anni ’80, hanno reso popolare la misurazione della frequenza cardiaca. I test incrementali (come Conconi o Mader col lattato) consentono di stimare la soglia anaerobica.
I misuratori di potenza, invece, rilevano la potenza istantanea e media espressa in Watt (o, per il running, la potenza stimata tramite dispositivi come Stryd). Ma molti atleti non sanno davvero usarli, limitandosi a leggere curiosi il numero sul display.
Grazie al lavoro pionieristico di Allen e Coggan sulla metodologia a zone, oggi sappiamo che esistono sei zone di potenza per il running, sette per il ciclismo e cinque zone di frequenza cardiaca. Queste zone si basano sulle “finestre metaboliche” che descrivono con precisione la fisiologia dell’esercizio.
Il fenomeno della deriva cardiaca
Un aspetto fondamentale emerso dagli studi è che non sempre le zone di frequenza cardiaca corrispondono alle zone di potenza calcolate in laboratorio o sul campo.
In particolare, può accadere che l’atleta lavori in zona 3 di potenza ma finisca in zona 4 di frequenza cardiaca. Questa discrepanza si chiama deriva cardiaca o deriva pulsatoria.
Le cause sono molteplici:
Variabilità quotidiana: ±2-6 bpm
Durata dello sforzo: dopo ~100 minuti di gara, deriva fisiologica di 5-25 bpm
Temperatura esterna: ±10-30 bpm
Disidratazione: fino a 15 bpm
Posizione di corsa o ciclismo: 2-5 bpm
Fatica residua da allenamenti precedenti: 5-20 bpm
Questi fattori rendono la frequenza cardiaca uno specchio del carico interno: la reale fatica fisiologica dell’atleta.
Come usare davvero questi dati
Queste informazioni non servono solo a “leggere” dei numeri. Consentono ad atleta e coach di diagnosticare in anticipo segnali di sovraccarico o overtraining, evitando infortuni e cali di rendimento. Prevenire è meglio che curare.
Allo stesso modo, se in allenamento osservi un accoppiamento positivo (ad esempio lavori a zona 2,5 di potenza ma la frequenza cardiaca resta a 2,0), è un segno chiaro di adattamento positivo. È il momento di aggiornare i test e ricalcolare le zone.
Allenarsi oggi non significa più “fare fatica a caso”, ma costruire strategicamente la forma migliore, con metodi scientifici e dati oggettivi.
Se vuoi imparare a usare davvero questi strumenti per personalizzare ogni tuo allenamento, evitare errori comuni e migliorare in modo misurabile, contattami! Scrivimi per una consulenza personalizzata o per costruire insieme il tuo piano di allenamento su misura.